lo pane altrui.
Dante poteva lamentarsene, ché mangiava il pane dei signori che lo ospitavano. Ma il pane dei poveri non conosceva il sale, ché costava caro assai, salato!
E nemmeno si poteva raccogliere dal mare, protetto com’era da un severo monopolio di stato.
Il pane: avercene!
Il primo problema era avere la terra dove seminare. Il signore la dava a chi aveva i buoi per arare, in cambio di una parte del raccolto; gli altri si arrangiassero. Poi serviva il seme ed il signore, che l’aveva avuto senza sudare, lo cedeva per riaverlo con gli interessi. Se la stagione era propizia ed i campi non venivano devastati dalle guerre dei padroni o dalle greggi, i più fortunati avrebbero avuto di che mangiare ma, prima, bisognava macinare al mulino bannale, cioè del signore, pagando in farina e poi al forno, sempre bannale, sempre pagando.
Solo allora il grano, l’orzo, l’avena, la spelta, il farro, la segale diventavano Pane. E non era per tutti.
Insomma, “dacci oggi il nostro pane quotidiano”: serviva veramente un miracolo.
Quello che resta di questi secoli di fame e fatica è quel che resta dei forni che, nel tempo hanno sostituito quello bannale.
Ne ho rintracciati una decina, alcuni completamenti cancellati altri visibili e vorrei tentare di farne un percorso istruttivo. Li elenco di seguito con un minimo di indicazioni ma prego chi ne ha memoria di comunicare almeno i nomi delle fornare.
Forno bannale o comunitario della Pujarella, a doppia bocca: in cima alla scalinata che scende alla piazzetta dell’Impero.
Forno dietro via del Governo Vecchio (d’a Maschiò).
Forno d’o Borgo: accanto alla vecchia scuola di musica.
Forno del Monticchio, senza camino.
Forno d’Esterina: via Roma. Trasformato in negozio di Savinilla.
Forno di via Simoncelli: sotto via Roma. Fornito di zinna.
Forno delle Volte: Odescalchi (forse già Giustiniani) attualmente Nisati. In attività, moderno.
Forno d’o Pojo: vicino casa di Candò.
Forno d’o Stallò: era la “fabbrica dei piatti” costruita dai Giustiniani, dove Bartolomeo Terchi ha plasmato la madonna del ponte. Nato come forno per ceramica, poi riconvertito mi dicono per il pane e poi in circolo dopolavoristico.
Forno d’e Vaschie: vicino alla ferramenta di Giovanni.
Dott. Giovanni Maggi
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