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La Pataria e San Giovanni a Pollo

2023-12-11 16:55

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Bassano Romano,

La Pataria e San Giovanni a Pollo

Identificazione (proposta) del committente e dell’epoca di esecuzione dell’ampliamento della chiesa rupestre e dell’affresco.

Dal nome del mercato degli stracci in Milano (pataria), il nome di patarini (id est pannosos, "straccioni", spiega Bonizone) fu per dileggio affibbiato dagli avversari ai seguaci di un movimento (oggi anch'esso noto col nome di pataria) sorto verso la metà del sec. XI, nella parte più umile del popolo milanese, contro gli abusi ecclesiastici e l'oppressione dell'alto clero. Ebbe grande diffusione nell’Italia centrosettentrionale e Gregorio VII ne fece un’arma nella lotta per le investiture.



Dobbiamo però iniziare da Bassano Romano, dove, in località San Giovanni a Pollo, sorgono i resti di un insediamento, repubblicano (II sec. a. c.) e poi imperiale, rimasto attivo fin verso la fine del medioevo.



In epoca longobarda, la colonizzazione germanica non ostacolò, specie dopo la conversione dall’arianesimo, l’esistenza o la creazione di un luogo di culto della chiesa di Roma, ricavata in una parete tufacea dipendente dalla villa. Questa prima chiesa fu poi ingrandita e dotata di un affresco, attualmente quasi perduto.



L’affresco, cm 150 x 197, già studiato dal Duncan (G. Duncan, Sutri , p. 128.), è descritto in “Pittura rupestre medievale Lazio e Campania settentrionale (secoli VI-XIII) Simone Piazza - Capitolo II. Catalogo delle testimonianze pittoriche”, descrizione che si riporta integralmente:




“Sul fondo di un paesaggio ridotto all’essenziale, con una spartizione in due sole campiture, verde scuro e azzurro, a simulare rispettivamente un prato e il cielo soprastante, il Cristo, con pallio bianco clavato percorso da una fitta rete di pieghe in azzurro chiaro, solleva il braccio destro come ad introdurre la coppia di santi che provengono da quella direzione. In corrispondenza dell’altro braccio, dove la figura è attraversata da una grande lacuna, si scorgono i resti del libro aperto delle sacre scritture sul quale era dipinta un’iscrizione.



La coppia di sinistra è identificabile grazie ai resti delle iscrizioni onomastiche che corrono sul tratto di cornice sottostante, ma anche dai peculiari tratti somatici dei volti che sopravvivono in parte: si tratta degli apostoli Pietro e Paolo vestiti di una tunica bianca e di un pallio rispettivamente rosa e verde. Ai tempi dell’indagine di Duncan si conservava una parte dell’iscrizione dipinta sul cartiglio che i due apostoli esibivano nel mezzo, con le lettere «FVERIM SOCII», oggi del tutto perduta a seguito dell’ampliarsi in questa zona di una lacuna.



La coppia di destra è costituita da due santi vestiti in abiti militari, con corta veste riccamente ornata e clamide che copre la spalla sinistra. I due, quasi speculari, reggono a loro volta un cartiglio con un’iscrizione che è stato possibile leggere per intero a seguito di un’analisi a luce radente (tav. 1 c): ISTI DVE OLIVAE ET DVE CANDELABRA LVCENT[IA SVNT] ». L’espressione è contenuta in un passo dell’Apocalisse (11,4) che allude alla visione dei due testimoni prima dell’apertura del settimo sigillo. La stessa frase viene ripresa in un inno che Floro da Lione († 860 ca) dedica ai santi Giovanni e Paolo. Le allegorie degli ulivi e dei candelabri, evocanti rispettivamente la fede fruttuosa e la gloria eterna, vengono in questo caso associate ai due soldati che insieme hanno patito il martirio.



E proprio l’intitolazione dell’inno di Floro permette il riconoscimento dei due personaggi che costituiscono la coppia di destra, appunto i martiri Giovanni e Paolo, soldati dell’impero romano. L’identificazione di questi ultimi offre la possibilità di sciogliere i dubbi sull’antica intitolazione dell’insediamento rupestre. L’espressione «a Pollo », che in passato ha fatto pensare a una derivazione da Apollo, per via della supposta esistenza nelle vicinanze di un tempio dedicato alla divinità pagana, non è altro che il risultato della corruzione del nome Paulus.



Un’altra iscrizione, oggi visibile solo in tracce, fornisce un dato importante che concerne il donatore. Fino a qualche tempo fa, all’interno della sezione di prato compresa fra i due apostoli, si poteva leggere: «EGO P(RES)B(YTER) G(RE)G(ORIVS) HOC OPVS PING(ERE) FEC[I]». Anche se risalire all’identità del personaggio appare impossibile, la qualifica di presbitero dà adito a ritenere probabile che l’ambiente rupestre, almeno al momento dell’intervento pittorico, assolvesse la funzione di oratorio campestre piuttosto che di unità insediativa di tipo cenobitico come proposto in passato.



Circa l’epoca di esecuzione del pannello, la resa formale delle figure, l’immagine monumentale del Cristo con braccio destro sollevato e fluente panneggio, la presenza dei cartigli con le iscrizioni, rivelano un apparentamento con gli affreschi della basilica di Sant’Anastasio a Castel Sant’Elia, databili tra la fine dell’XI secolo e i primi decenni del XII. Allo stesso periodo si può, quindi, attribuire il dipinto di San Giovanni a Pollo”.




Il brano, puntuale, di S. Piazza ci fornisce spunti per un percorso forse arrischiato ma assai verosimile.



Il committente, prima di tutto: Gregorius presbiter, fin qui sconosciuto.



Nell’epilogo del Liber de vita christiana (X/79), Bonizone inizia rivolgendosi al destinatario dello scritto, qualificato come “sacerdos venerandus Gregorius” che gli aveva chiesto “brevem ac compendiosam dictatiunculam ex sanctorum patrum autenticis canonibus”.



Bonizone fu uno dei principali attivisti della Pataria, a capo della quale si era messo lo stesso papa Alessandro II. Alla morte di costui (+ 1073) Ildebrando di Sovana, che l’aveva fatto eleggere, prese il suo posto col nome di Gregorio VII. Bonizone era suo amico e consigliere e perciò fu ordinato vescovo di Sutri, diocesi quanto mai strategica per il periodo.



Non è questo il luogo per narrare le tragiche vicissitudini bonizoniane, comunque la sua permanenza a Sutri terminò non oltre il 1082, per il sopravvento degli imperiali. Essendo Gregorius amico di una figura così eminente, sotto la cui gestione ricadeva San Giovanni a Pollo, certamente, a sua volta, doveva avere disponibilità economica ed autorità religiosa, oltre alla convergenza di idee, per realizzare l’ampliamento del luogo di culto in questione. E ciò dovette avvenire nel periodo centrale della permanenza di Bonizone a Sutri, cioè non oltre il 1080, in quanto che, necessariamente, i lavori dovevano essere terminati prima dell’82. Altrimenti avrebbero rischiato il fermo dagli imperiali. Se poi consideriamo che della cattedra vescovile sappiamo solo che è stata concessa non oltre il 1078 e che, venendo Bonizone dalla Padania, va considerato un tempo di acclimatamento, la forchetta temporale rimane veramente esigua.



La composizione dell’affresco può essere considerata come elemento di rinforzo di tale ipotesi.



Infatti, la presenza a destra dei due apostoli maggiori rappresenta la riaffermazione della potestà di Roma su un territorio che aveva visto il lungo dominio longobardo e, conseguentemente, l’insediamento di quelle genti, mentre la celebrazione dei due santi militi costituisce la legittimazione del diritto di residenza degli ex guerrieri nordici.



Siamo in un breve periodo di quiete, dopo l’umiliazione di Canossa e l’assoluzione di Enrico IV nel 1077, durante il quale la Chiesa procedeva ad un recupero del controllo sul suburbio e la Tuscia, attraverso la concordia tra genti diverse ma ormai tutte cattoliche.



La cacciata di Bonizone e lo stabilimento in Sutri degli antipapi filoimperiali non comportò nuovi stanziamenti sul nostro territorio.



In conclusione, non avendo una data certa per la creazione a vescovo di Bonizone, ma comunque prima del 1078, dobbiamo ritenere utile il periodo tra l’elevazione al soglio di Ildebrando di Soana (1073) e la cacciata di Bonizone da Sutri (1081).



Quanto al presbiter Gregorius, sacerdos venerandus, oltre al liber de vita christiana e l’affresco in esame, l’assenza di altre fonti non permette di configurarlo pienamente, ma gli attori che intervengono in questa storia ci inducono a considerarlo come un importante ecclesiastico locale, sicuro affiliato alla Pataria e collaboratore influente del vescovo Bonizone.



Dott. Giovanni Maggi




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