L’interessante episodio ci fornisce anche un termine ante quem per datare la rocca a non più tardi della fine del secolo XIII e ci offre uno spunto interessante sulla condizione di Bassano. In quegli anni, i parenti del papa francese, Clemente V e poi dei suoi successori, sempre francesi, avevano un mandato assoluto e governavano gli Stati della Chiesa con la sola preoccupazione di arraffare il più possibile. Scrive l’Antonelli “dieci anni appena dopo la traslazione della Sede, nel Patrimonio non era più che disordine, squallore e rovina”. Già sappiamo che nel 1311 il Comune di Roma impose a Sutri la totale sottomissione e che Manfredi, capo del partito ghibellino ed uno dei più potenti personaggi del Patrimonio, stava approfittando, come tutti, dell’impotenza della Chiesa. Di conseguenza, il pernottamento dell’imperatore certifica che Bassano era in mano ghibellina e, forse, proprio del Prefetto. In questo periodo francese della corte pontificia, i territori della Chiesa e la Tuscia in particolare, “governati” da Avignone, si strutturavano indipendentemente dall’autorità centrale, diventata solo teorica, ed i Signori gestivano in pieno arbitrio i loro possedimenti, particolarmente nel Patrimonio, dove la loro volontà era l’unica legge. “Indicativa della maggior durezza della signoria laziale rispetto a quella del Regno di Napoli (o meglio: dell'Abruzzo), denominato allora “Regnum Siciliae citra Pharum” [Regno della Sicilia al di qua del Faro], e nel contempo dei controlli esercitati dal sovrano, risulta una lettera del 1303 contenuta nei perduti registri angioini e regestata (riassunta Ndr) da Scandone . Con questa lettera, il re incaricava il giudice napoletano Pietro Donnorso di recarsi in alcuni feudi abruzzesi, assegnati alcuni decenni prima ai Colonna di Genazzano, per indagare sui reclami presentati dalle comunità e dai particolari di quelle terre contro il proprio feudatario, Pietro Colonna. Costui era in primo luogo accusato di una serie di reati che sembrano attestare una palese ostilità contro la nobiltà francese e forse contro la stessa corona (assalti a castelli, uccisioni e imprigionamenti dei loro signori, sistematica rapina di tutti i francesi che passavano nei suoi territori, rifiuto di adempiere per intero agli obblighi militari, ecc). Oltre a queste, troviamo poi accuse che riguardano specificamente il regime signorile creato da questo barone romano. Pietro Colonna aveva imposto tasse non consentite dalle costituzioni del Regno, come quelle per la nascita di figli e per l'acquisto di nuovi castelli, facendo inoltre incarcerare per ricattarli alcuni abbienti abitanti del feudo di Sambuca; aveva fatto inseguire e malmenare delegazioni di vassalli che si recavano dal re per protestare, imprigionando alcuni querelanti nel suo castello laziale di Olevano, e liberando poi quelli che non erano morti in carcere ο sotto tortura solo dopo il pagamento di un grosso riscatto e dopo il giuramento di non denunciarlo al sovrano; aveva fatto porre in prigione, per motivi non indicati, i rettori di almeno tre chiese delle sue terre; aveva aggregato al proprio demanium i mulini di un'altra chiesa, col presumibile fine di ottenere il monopolio della molitura; infine aveva introdotto illegali servizi militari, obbligando i suoi vassalli ad acquistare armi e a recarsi oltre i confini del Regno « per menses et annum », in numero da egli stabilito, per combattere guerre al servizio di suoi parenti e, si aggiunge, tanti («quamplures et plures») vi vennero uccisi. È come si vede un documento rivelatore, che sembra indicare che i baroni romani fossero avvezzi a bannalità, prestazioni militari, sottomissione del clero locale e più in generale a libertà di azione ben maggiori di quelli usuali in parte del Regno” . Alla metà del secolo XIV, l’autorità del papa di Avignone, nei paesi che costituivano nominalmente lo Stato della Chiesa, era praticamente nulla. Tanto che nel 1353 Egidio Albornoz, Legato di Innocenzo VI, venuto in Italia per ripristinarla, rimase stupito dal trovare una situazione più disperata di quanto si aspettasse (Fabre, un registre): . [Il Legato restò immensamente stupito nel vedere quanto fossero poche le città e luoghi sottoposti alla Chiesa.] La documentazione comincia però ad essere più consistente, soprattutto in atti notarili e specialmente di compravendita, a dimostrazione di un nuovo sviluppo delle strutture sociali e di un maggior dinamismo economico, mostrandoci tra l’altro la presenza di un unico “dominus” e di molti “signori” evidentemente proprietari, a vario titolo, di beni e/o diritti all’interno del castrum Bassani e del suo tenimentum. (continua) Dott. Giovanni Maggi STORIA DI UN PAESE DI ¾
“Legatus paucas adeo civitates et loca Ecclesie subesse videns summopere obstupuit”
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